Continua il confronto in dottrina tra gli esperti che ritengono non deducibili i costi per migliorie su beni di terzi (in quanto ne beneficerebbe esclusivamente il titolare del diritto reale sul bene) e coloro che, viceversa li considerano “inerenti”, in quanto collegabili allo svolgimento dell’attività imprenditoriale. Una recente ordinanza della Cassazione (n. 6936/2022) pone in evidenza che il requisito dell’inerenza va considerato sotto l’aspetto “qualitativo”, cioè deve essere considerato il vantaggio che ne trae il conduttore a sostenere l’onere, senza che l’amministrazione finanziaria possa addentrarsi in valutazioni di tipo utilitaristico o “quantitativo”. Nel caso di specie si è trattato di oneri sostenuti da un imprenditore in un locale detenuto in comodato, ove questi svolgeva la propria attività. I giudici hanno rilevato “l’inerenza”, intesa come nesso di strumentalità (anche solo potenziale), tra il bene oggetto dell’intervento e l’attività svolta dal contribuente.